Il minerale gioca un ruolo cruciale nella fecondazione degli ovuli sani
Non tutte le uova riescono a essere fecondate, non tutte sono adatte per esserlo e, al contempo, non tutte riescono a diventare un embrione che, si spera, produrrà una nascita.
“Quello che manca, in questi casi, è lo zinco”, dicono gli scienziati della Northwestern University. E questo minerale deve essere presente in grandi quantità se si vuole che gli ovuli siano sani.
Quindi, non è colpa delle uova se non riescono a essere fecondate e poi sviluppare un embrione sano, ma soltanto della presenza o meno dello zinco, di cui pare siano “ghiotte”. Allora, in questo caso, basta dare da mangiare agli affamati potremmo pensare, ma la faccenda non è così semplice. «Attualmente non possiamo prevedere quali uova isolate da una donna producano il migliore degli embrioni che si tradurrà in un bambino. Non tutte le uova sono capaci di diventare embrioni sani», ha dichiarato in proposito la dottoressa Alison Kim.
Lo studio sugli ovuli affamati di zinco è stato condotto, ancora una volta, sui topi e ha mostrato come le uova di questi animali, avendo il minerale disponibile in grandi quantità, tendessero ad accaparrarsene il 50% in più del normale per poter raggiungere bene e in fretta la piena maturità ed essere pronti alla fecondazione con tutte le carte in regola.
Secondo i ricercatori, lo zinco aiuta l’ovulo a uscire da una certa situazione di base per dirigersi verso la critica fase finale dello sviluppo. E lo zinco è stato l’unico a essere rilevato in concentrazioni elevate durante la fase finale dello sviluppo rispetto ad altri metalli testati come il ferro e il rame. Sempre lo zinco, che pare inarrestabile, si è rivelato l’unico metallo in grado di cambiare in modo significativo il processo di maturazione dell’ovulo.
Per converso, elemosinare questo minerale, e avere scarsi livelli, manda gli ovuli in pausa prematura proprio prima della fecondazione. Ma il "pit stop" può essere produttivo nel momento in cui si ridà via libera all’abbuffata di zinco spiegano, anche se non proprio in questi termini, i ricercatori sulla rivista Nature Chemical Biology. (lm&sdp). Tratto da lastampa.it
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